La convergenza di tutte le forze politiche del campo progressista attorno a una proposta unitaria in materia di salario minimo legale è estremamente rilevante per almeno tre ragioni.
Innanzitutto, dopo la scelta, deliberata e sciagurata, di dividersi alla vigilia delle elezioni, consegnando il Paese a una destra reazionaria nel campo dei diritti e delle libertà civili e ultra liberista in campo economico-sociale, tale convergenza può annunciare l’apertura di una fase nuova, contrassegnata dalla volontà di privilegiare l’efficacia dell’azione politica sulla rendita di posizione e, per ciò stesso, prospettare la concreta possibilità che si costruisca una proposta per il Paese, radicalmente alternativa rispetto a quella che, oggi, lo consuma e lo impoverisce. Un’alternativa di visione e progetto, da praticare e verificare in Parlamento, nelle istituzioni ma, più ancora, nella società, a partire dai corpi intermedi che vi si muovono.
In secondo luogo, specie in tempo di stagnazione salariale e vigorosa spirale inflazionistica, non è neutra la rilevanza sociale del tema attorno al quale tale convergenza viene a luogo. Il c.d. centrosinistra ha, infatti, progressivamente perduto terreno e consenso nei segmenti del corpo sociale più segnati dalle crisi che si sono susseguite negli ultimi anni. Il Jobs act del Governo Renzi – il solo esponente dell’opposizione che si è significativamente sottratto all’iniziativa sul salario minimo – poi, ha sancito una vera e propria secessione tra la pretesa “sinistra di governo” e il mondo del lavoro, poiché ha introdotto il massimo grado di flessibilità sia in entrata – con la liberalizzazione dei contratti temporanei – che in uscita dal mercato del lavoro mai conosciuta prima, in aperto contrasto con il fondamento lavoristico del nostro sistema giuridico: è toccato, non per caso, alla Corte costituzionale mettere qualche toppa, censurando, ad esempio, i meccanisti di quantificazione automatica delle indennità da licenziamento illegittimo introdotti con l’algoritmo delle c.d. tutele crescenti.
In ultimo, ma non per ultimo, la mediazione raggiunta è qualitativamente di buon livello, tanto che la proposta si profila, a pieno titolo, come una legge di attuazione costituzionale. Per dare concretezza all’art. 36 Cost. in tema di equa retribuzione, innanzitutto la proposta garantisce ai lavoratori occupati in tutti i settori merceologici un “trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi”, riconoscendo ai sindacati più rappresentativi il ruolo di autorità salariale. Al contempo, al fine di tutelare i lavoratori occupati nei settori più fragili e problematici, s’introduce una soglia minima inderogabile di 9 euro l’ora. Ma c’è di più. Seguendo l’impianto della proposta Fratoianni, consonante con spirito dell’art. 35 Cost. sulla tutela del lavoro “in tutte le sue forme e applicazioni”, la proposta guarda oltre il recinto del lavoro subordinato, abbracciando non solo le collaborazioni etero-organizzate (art. 2, d.lgs. n. 81/2015) ma pure le collaborazioni coordinate e continuative (art. 409 n. 3, c.p.c.) e il lavoro autonomo tout court (art. 2222 c.c.), laddove da tempo si riscontrano asimmetrie, squilibri e persino forme di sfruttamento paragonabili a quelle che si osservano nel campo del lavoro dipendente, cui conseguono analoghe esigenze di tutela e protezione.
L’articolato contempla, infine, un’apposita procedura giudiziale, di matrice collettiva, volta a garantire l’effettività del diritto di lavoratrici e lavoratori a percepire un trattamento economico dignitoso, modellata sul procedimento per la repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro (art. 28 St. lav.): spetta, insomma, al sindacato ricorrere in giudizio denunciando la violazione e ottenendo la condanna del datore di lavoro a corrispondere l’equo trattamento. In tal modo il cerchio si chiude perché per un verso la legge sul salario minimo si profila, innanzitutto, quale misura di sostegno all’attività negoziale dei sindacati rappresentativi e generalizzazione dei trattamenti previsti nei CCNL; per altro verso, si consegna sempre al sindacato la possibilità di agire per garantirne la concreta applicazione.
È facile immaginare una resistenza dell’attuale compagine governativa, peraltro già annunciata, a misure come quella sul salario minimo legale. Ma l’iniziativa merita d’esser sostenuta e promossa perché non sarà possibile ignorare, a lungo, i dati sull’aumenti del costo della vita e le statistiche europee che hanno fatto guadagnare all’Italia il triste primato sulla perdita del potere d’acquisto di salari, stipendi e redditi da lavoro.