Energia da rifiuti? No grazie. Le tecnologie emergenti non possono essere una scorciatoia

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L’inceneritore proposto da Gualtieri non è la scelta giusta per Roma.
Noi di Sinistra italiana proponiamo una soluzione diversa, ribadendo le linee programmatiche con cui abbiamo sostenuto la sua candidatura a Sindaco:

puntare ad “un’impennata della raccolta differenziata, del riuso e del recupero, della riduzione, del riutilizzo; all’autosufficienza impiantistica, e al recupero di materia senza ricorso alla combustione, con l’obiettivo finale di ridurre progressivamente la mole di indifferenziato in modo da non giustificare più l’apertura di discariche e inceneritori”.

Puntare ad un mega inceneritore vorrebbe dire perpetuare la crisi dei rifiuti per i prossimi 5 e più anni (quelli necessari alla costruzione dell’impianto), affrontare una spesa molto maggiore (tra l’altro concentrata sugli investimenti infrastrutturali e non sul lavoro) e ipotecare il futuro dei prossimi 30 anni di funzionamento dell’inceneritore necessari per la sostenibilità economica dell’impresa.
Tutto questo dopo che gli inceneritori esistenti – compreso quello famoso di Copenhagen – sono entrati in crisi per mancanza di rifiuti da bruciare a causa dell’avanzamento del recupero e riciclo, e dopo vari atti della UE tendenti a scoraggiare il ricorso all’incenerimento: dalla comunicazione del 26/01/2017 (The role of Waste to Energy in the Circular Economy), alla recente decisione (22 Giugno) di includere l’incenerimento dei rifiuti nel sistema dei crediti di emissione UE, all’interno della riforma del mercato ETS (Emission Trading System) relative al pacchetto Fit for 55, varato per ridurre le emissioni di anidride carbonica del 55% al 2030 (rispetto a quelle del 1990).

Siamo convinti che la strada giusta sia quella dell’economia circolare e dello sviluppo sostenibile, che è allo stesso tempo meno costosa per la collettività e più rispettosa della salute dei cittadini e dell’ambiente, e accelera la transizione ecologica.

MA CONCENTRIAMOCI SULL’INCENERITORE, visto che la discussione si è spostata di nuovo sulle tecnologie, evocate prima  dall’assessora Lombardi, ora anche Grillo che ripropone la ossi-combustione senza fiamma (Flameless oxy combustion), come soluzione salvifica, quasi miracolosa. Peccato che non sia così; vediamo perché.

La normativa europea prevede, ma solo dopo aver massimizzato recupero di materia e riciclo, che si possa recuperare energia dai rifiuti residui (waste to energy) a condizione che l’energia ricavata sia sufficientemente elevata e siano rispettate determinate prestazioni ambientali. Tutto questo viene specificato nelle “BAT” (Best Available Techniques) che elencano le “migliori tecniche disponibili” e nelle “BREF” (Best Available Techniques Reference Document).

Nell’ultimo aggiornamento della BREF si parla ampiamente di incenerimento (mai di termovalorizzazione), cioè processi di termodistruzione dei rifiuti con produzione di calore elencando le tecnologie dispoibili: inceneritori a griglia, forni rotanti, letti fluidi, sistemi di pirolisi e gassificazione, e altre tecniche fra cui processi al plasma.

Al capitolo 6 del documento si introducono le “tecniche emergenti”, definite come le “nuove tecniche per un’attività industriale che, se sviluppate commercialmente, potrebbero fornire, rispetto alle migliori tecniche esistenti, un livello generale di protezione dell’ambiente più elevato o almeno uguale e costi minori“.
Fra esse si cita la ossicombustione flameless pressurizzata, quella evocata da Lombardi e Grillo, dove “i rifiuti sono inceneriti in un processo di combustione pressurizzata senza fiamma in atmosfera di ossigeno, anidride carbonica e vapor d’acqua, a temperature fra 1.250 e 1.500 °C.“

Si tratta di una tecnologia sviluppata dalla società ITEA, poi studiata agli inizi del 2.000 nell’ambito di un programma di R&S condotto da ENEA e ITEA, e sperimentata negli anni successivi. Una delle particolarità è che le emissioni di inquinanti sono molto basse e non si ha la produzione delle classiche ceneri in quanto queste vengono fuse e si raccolgono sul fondo del combustore in forma liquida e da qui estratte e iniettate in acqua dove vetrificano. Altra particolarità è che i fumi di scarico sono composti essenzialmente da vapore d’acqua e CO2, che così può essere separata, sempre in fase gassosa, qualora si pensasse ad un suo riutilizzo oppure ad una assai improbabile sequestrazione geologica consistente nella sua iniezione nel sottosuolo ad alta pressione e in forma liquida (tecnologie CCS = Carbon Capture and Storage).

Nel documento di BREF si citano nel dettaglio le caratteristiche di un “ impianto di 15 MW termici corrispondenti ad una capacità nominale di 80.000 tonnellate/anno di rifiuti solidi urbani”, e si indicano gli aspetti economici che evidenziano costi di investimento veramente elevati, giustificati dalla complessità e sofisticazione della tecnologia, compatibili con altri tipi e dimensioni di impianti come quelli termoelettrici a carbone.

In sintesi: tecnologia brillante e promettente, ma da qualificare rispetto alle caratteristiche dei rifiuti di Roma e della taglia dell’impianto; delicata e complessa da gestire, e probabilmente da certificare per una esercizio continuo 24 ore al giorno per tutto l’anno. Inoltre le scorie vetrificate sono rifiuti speciali, da verificare se pericolosi in funzione della loro composizione, in quantità uguale alle classiche ceneri, che vanno smaltite.

L’idea di puntare su tecnologie sofisticate, peraltro tutte da provare, per risanare i danni provocati è una specie di corto circuito, un partire dalla coda invece che affrontare il problema all’origine: occorre minimizzare i rifiuti residui di cui liberarsi e scegliere tecnologie e impianti adatti a questo scopo.

In ogni caso, senza commentare le dichiarazioni di Grillo, tutte genericamente trionfalistiche, ci soffermiamo soltanto su un punto: immagina per Roma “moduli da 180.000 tonnellate/anno di rifiuti (2 moduli senza fiamma da 15 MW termici)”, cioè due impianti da 90.000 tonnellate/anno ciascuno da 15 MW termici con conseguente generazione elettrica complessiva di circa 10 MWe.

Si tratterebbe, cioè, di bruciare quantità limitate, tendenzialmente residuali, di rifiuti non riciclabili, compatibili con un sistema che massimizza recupero e riciclo: il che comporterebbe la chiusura dell’inceneritore di S. Vittore. Tutto, però, a condizione che la tecnologia sia stata provata e qualificata, sia sul piano dell’affidabilità di funzionamento che delle emissioni, comprese le ceneri estratte in forma liquida e poi vetrificate. Ma così non è, o almeno non ci risulta.

  • Elena Fattori, Senatrice di Sinistra italiana
  • Giuseppe Girardi, Sinistra Italiana, Roma area metropolitana, Resp. Transizione ecologica

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