ENI: piano industriale disastroso per il clima

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Movimenti, associazioni, Europa Verde e Greens presentano istanza all’OCSE
“Il piano di ENI è incompatibile con la lotta all’emergenza climatica”


Un gruppo di organizzazioni ecologiste, movimenti e gruppi ambientalisti, supportati dai Verdi/ALE e da Europa Verde, ha presentato oggi al Punto di Contatto Nazionale dell’OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, un’istanza con cui denuncia l’inadeguatezza del piano industriale della oil company italiana ENI rispetto al quadro di impegni internazionali volti al contrasto dell’emergenza climatica.

Tra i rilievi sollevati: il fatto che il piano strategico non preveda un sufficiente taglio delle emissioni nei prossimi anni, la mancanza di una valutazione di impatto climatico delle attività d’impresa, l’assenza di informazioni trasparenti e adeguate e la mancata elaborazione di un piano di prevenzione e mitigazione dei rischi, come invece previsto dalle Linee Guida dell’OCSE.

L’iniziativa si fonda sulle Linee Guida OCSE per le imprese multinazionali, che fissano una serie di principi, ispirati alle norme internazionali, orientate a promuovere nelle imprese condotte responsabili dal punto di vista sociale, ambientale e della tutela dei diritti umani.
Tra essi appaiono anche obblighi di trasparenza e di adozione di policy d’azienda che tengano conto delle conoscenze scientifiche attuali.

Le organizzazioni promotrici sono: Rete Legalità per il clima, A Sud, Forum Ambientalista, Generazioni Future – Cooperativa di mutuo soccorso, Fridays for Future, Extinction Rebellion Milano, Per il clima fuori dal fossile, Emergenzaclimatica.it, Europa Verde, Verdi/ALE al Parlamento Europeo, Diritto Diretto.
Quella avviata, prevista dalle stesse Linee Guida in caso di condotta d’impresa ritenuta contraria ai principi fissati, è una procedura di mediazione.
Il PCN -Punto di Contatto Nazionale dell’OCSE, incardinato presso il MISE, è chiamato a valutare l’istanza e a dichiararne l’ammissibilità.
La decisione, che in caso di accettazione decreta l’avvio della procedura, viene deliberata dal PCN dopo circa 30 giorni dalla ricezione dell’istanza.
“Ci auguriamo che la circostanza per cui ENI è una impresa controllata dello Stato, il che configura potenziale conflitto di interessi per il Ministero dello Sviluppo Economico chiamato a giudicare l’ammissibilità dell’istanza, non sia fattore d’ostacolo all’imparzialità del PCN” commentano i promotori dell’iniziativa.
L’istanza segue la diffida inviata a ENI nel luglio 2021 dalla Rete Legalità per il Clima, con cui veniva posto l’accento sulla necessità di riconsiderare il piano industriale alla luce delle raccomandazioni formulate dall’IPCC e da numerosi enti scientifici accreditati a livello internazionale circa la necessità di una rapida riduzione dei gas serra rilasciati in atmosfera.
ENI ha dichiarato spontaneamente di volersi impegnare a rispettare gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi attraverso la firma del Paris Pledge for Action.
Nonostante il dichiarato impegno dell’azienda petrolifera italiana in ambito climatico, il piano industriale prevede un incremento del 4% annuo della quantità di petrolio e gas estratto nei successivi tre anni, un trend di riduzione delle emissioni non in linea con gli scenari individuati dalla comunità scientifica per rispettare i target di lungo termine previsti dall’Accordo di Parigi e il ricorso a tecniche controverse ed inefficaci, come il CCS (processo di cattura e stoccaggio di CO2) o la produzione di idrogeno blu.
Proposte che di fatto risultano essere solo diversivi dall’efficacia non dimostrata, piuttosto che soluzioni concrete al problema delle emissioni.

L’avvio di questo tipo di procedura presso il PCN dell’OCSE mira ad aprire una discussione – ampia, trasparente e collaborativa – tesa a individuare e mettere in atto le strategie e gli strumenti più idonei per abbattere le emissioni climalteranti.
L’obiettivo è la piena tutela dei diritti umani minacciati dalle condotte dell’azienda.

Nel caso in cui ENI decidesse di non aderire alla procedura la partita potrebbe spostarsi, oltre che nel consueto campo della denuncia pubblica e del campaigning, anche sul piano giudiziario. Sono sempre di più infatti a livello globale, le azioni legali climatiche intentate contro compagnie dell’energia fossile.
La storica vittoria contro Shell in Olanda, condannata nel 2021 a ridurre le emissioni del 45% entro il 2030, ha finalmente aperto una strada verso il tardivo ma doveroso riconoscimento delle responsabilità climatiche del settore privato.

(Fonte: Pressenza)

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