Quasi tutte le domeniche c’è un tizio che vestito di bianco, bianca anche la cupolina che appoggia sulla testa, si affaccia da un balcone e comincia a dirne di tutti i colori contro la guerra. Guerra in Ucraina compresa.
Francesco, ‘sto tizio si chiama così, non parla solo di domenica e non solo da quel balcone lì.
Per dire, poche ore fa, da La Valletta, cioè dalla capitale maltese, ha detto che «il conflitto è stato preparato negli anni». Poi ha pure denunciato: «la guerra si è preparata da tempo con grandi investimenti e commerci di armi». Quindi ha lamentato dell’affievolimento «dell’entusiasmo per la pace sorto dopo la seconda guerra mondiale».
No, non ha parlato bene di Vladimir Putin, come del resto non ne ha mai parlato bene nessuno di coloro che, dal 24 febbraio, invocano la pace venendo inesorabilmente marchiati come fiancheggiatori del tiranno di Mosca, traditori o espressioni molto più grevi o colorite.
Nessuna di queste infamie viene però lanciata contro Francesco, che ha la ventura di essere Papa e, in virtù di questo, niente, che non faccia rima con santità, gli viene mai indirizzato.
La cosa strana è che buona parte degli “interventisti” nostrani, buona parte di quelli che in parlamento hanno votato per invio di armi sul campo di battaglia, buona parte, Presidente del Consiglio compreso, del nostro “governo di guerra” e dei leader di partito della maggioranza politica che lo sostiene, quotidianamente, nella Chiesa, di cui Francesco è il capo, vanno a genuflettersi, a inginocchiarsi, a pregare, a fare professione di fede.
Deve essere per questo motivo che nessuna censura viene chiesta, anzi pretesa, alla televisione di Stato contro questo tizio che ogni domenica parla in diretta, per un’oretta buona, sul primo canale televisivo nazionale e su quello radiofonico.
Nessun miracolo, solo quell’ipocrisia di cui già scrisse due secoli e mezzo fa Voltaire: «Il Papa è un idolo a cui si legano le mani e si baciano i piedi».