I conflitti nel mondo, non solo in Ucraina

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Tolta l’invasione dell’Ucraina, i conflitti oggi in corso sono altri dieci.

C’è guerra, ci dice l’Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED), in Etiopia, nello Yemen, nel Sahel, in Nigeria, in Afghanistan, in Libano, in Sudan, ad Haiti, in Colombia e in Myanmar.

Secondo i dati pubblicati dal Centro Astalli, aderente al Jesuit Refugee Service, e reperiti dal servizio Vestanet del Ministero dell’Interno italiano, al 31 dicembre del 2021, erano 8.107 le persone che avevano ottenuto asilo politico lo scorso anno in Italia.

Le richieste erano però state 52.987, di queste i dinieghi totali sono stati 29.790.

Emblematico il caso della Nigeria, il Paese più popoloso tra quelli in guerra: 7.243 le richieste, quelle andate a buon fine 1.116, il 15%.

Fa riflettere l’eccezione degli afghani, dove sono 2.986 quelli che hanno ottenuto lo status di rifugiato, cioè il 54% dei richiedenti.

Più che chiedersi come mai a metà di loro lo “status” non sia stato concesso, ci si dovrebbe domandare perché i richiedenti siano stati solo 5.544. Un numero straordinariamente basso, considerato l’epocale disastro del ritiro occidentale dall’Afghanistan e il ritorno del potere in mano talebana.

Se tutti ricordiamo le tragiche scene degli afghani che cercavano di venire in Occidente, di quelli che lanciavano i figli oltre i reticolati degli aeroporti, di quelli che si appendevano ai carrelli dei “nostri” aerei, e poi cadevano nel vuoto, questo esiguo numero di richiedenti asilo non può che rappresentare la nostra vergogna, la vergogna dei nostri confini presidiati contro coloro che fuggono dalle guerre.

L’eccezione Ucraina, cioè il fatto che non esistano confini, muri, reticolati per gli ucraini, specie per gli “ucraini bianchi”, in fuga dalla invasione voluta da Vladimir Putin, questa vergogna, se è possibile, moltiplica. E non perché spalanchiamo le porte a chi arriva da Kiev, da Mariupol, da Odessa o da qualsiasi città bersagliata dai russi, ma perché, su base etnica, chiudiamo quasi ermeticamente i confini a tutti gli altri.

Accade cosi che le guerre oggi nel mondo non siano undici, ma una più dieci. Tutte le guerre di cui non ce ne frega niente e quella in Ucraina che ci vede addirittura coinvolti militarmente.

E anche in questo caso, il tema non è l’interesse per quel che accade a Kiev, ma il disinteresse per quel che accade nelle altre 10 pizze mondiali in guerra.

Da osservare che, però, quasi tutte queste guerre hanno due tratti in comune.

Il primo è che, a eccezione della Russia, nessuna delle parti oggi in conflitto produce armi.

Le armi sono, infatti, prodotte e commercializzate, per ordine di volumi, dalle statunitensi Lockeed Martin, 53 miliardi di dollari di fatturato nel 2019 e Boeing, 34 miliardi di dollari, dalla cinese Aviation Industry, 25 miliardi di dollari, dalla britannica BAE Systems, 23 miliardi di dollari e dalla campionessa europea, l’italiana Leonardo, con oltre 11 miliardi di dollari di fatturato militare.

L’altro tratto in comune è che, a eccezione della Russia, nessuna delle parti oggi in guerra è membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

William Beccaro

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