Guerra: non è un’arte, ma pura degenerazione

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Un generale, esperto di strategia militare e di geopolitica, in una recente conversazione ha mostrato tutta la sua competenza fornendo importanti notizie e interessanti valutazioni.

Lo ha fatto con parole semplici e con gelida razionalità, illuminandosi soltanto quando sottolineava le caratteristiche dell’”arte bellica”: un’arte che lui nominava – così abbiamo percepito – con lo stesso tono con cui si può evocare la letteratura, la pittura, l’architettura.

Nel suo significato più sublime «l’arte è l’espressione estetica dell’interiorità e dell’animo umano. Rispecchia le opinioni, i sentimenti e i pensieri dell’artista nell’ambito sociale, morale, culturale, etico o religioso del suo periodo storico». Ma spesso questa parola viene usata in contesti e con significati molto diversi, tanto da farne perdere senso e significato. Si arriva a parlare di arte militare e bellica.

Alcuni si fermano all’arte militare, «che studia l’applicazione dei principi, dei metodi e dei procedimenti che regolano l’impiego delle forze armate in tempo di pace e in tempo di guerra».

Altri parlano perentoriamente di arte della guerra, quasi a voler ignorare la caratteristica che le forze armate italiane hanno – come si enfatizza spesso, e come di fatto è accaduto in alcune occasioni – di essere utili principalmente in tempo di pace.

Capiamo che un militare, tanto più un generale di carriera che ha fatto la “scuola di guerra” (una sorta di specializzazione dopo l’accademia militare) abbia avuto una formazione particolare; ma sentire decantare l’arte bellica, come fosse un sonetto di Dante o Petrarca, francamente ha un che di surreale, di impossibile, di anacronistico; come se il tempo si fosse fermato alle guerre puniche.

Il problema non è questo generale, o i generali, o i militari tutti.

Il problema è che si è affermata la cultura della guerra, lo stesso modo di esprimersi si è adeguato: si dovrebbe parlare di orrore della guerra, stupidità della guerra, criminalità della guerra, e invece si parla, appunto, di cultura della guerra, sublimandola addirittura ad arte.

Quarant’anni fa è cresciuto in Europa un grande movimento pacifista, mobilitato contro l’installazione dei missili nucleari in tutto il continente, i Pershing e i Cruise americani e gli SS20 sovietici.

La guerra allora non è scoppiata, ma purtroppo non siamo riusciti a smontare la cultura medioevale che oggi ce ne ripropone la minaccia: l’idea che i conflitti si affrontano con le armi.

Denunciare questa degenerazione umana e morale non è pacifismo di maniera; non è uno slogan, non è una moda passeggera, non è l’obnubilamento della mente di chi è fuori dalla realtà, di chi non accetta che la guerra sia parte della realtà.

E’ riaffermare il valore della pace, come bene comune primario, universale.
E’ riaffermare il valore del termine comunità, che si basa sul rispetto degli altri, sulla libertà individuale e dei popoli, sulla democrazia, sul superamento degli egoismi, degli interessi di pochi, sulla condanna di ogni prevaricazione, sul rifiuto assoluto della forza – delle armi e non solo – come mezzo per ottenere vantaggi.


Giuseppe Girardi

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